Coreografie del tempo
Un’indagine in sei tappe
PROJECT
PRESENTATION
In questo periodo storico segnato dalla pandemia, abbiamo fatto un’esperienza del tempo senza precedenti. Bloccati in un presente dilatato, nostalgici di un passato quasi mitico e incapaci di immaginare un futuro che però desideriamo profondamente, ci siamo trovati a riflettere su come tutte queste temporalità siano complesse e mai scontate. Artisti e studiosi, dal canto loro, in questi primi vent’anni del XXI secolo hanno ripensato alla storia della danza e a come renderla nuovamente significativa per il pubblico del presente. Per alcuni si tratta di confrontarsi con opere e repertori che hanno ereditato direttamente dai loro maestri, per altri di ritrovare tracce di storie meno note o cadute nell’oblio perché ignorate dalla storiografia ufficiale o perché censurate in momenti e luoghi differenti; altri ancora sono spinti dal desiderio di interrogare i corpi-archivio di danzatori che hanno incontrato lungo il loro percorso artistico e che custodiscono preziosi saperi.
Queste pratiche artistiche e queste riflessioni teoriche stanno anche alimentando una nuova sensibilità per la conservazione di patrimoni culturali e coreutici, e una rinnovata curiosità per quanto è arrivato ai giorni nostri grazie a forme di trasmissioni indirette di tecniche di danza e opere coreografiche, o a quanto è stato tramandato dai ricordi individuali e collettivi degli artisti.
Coreografie del tempo. Un’indagine in sei tappe parte dall’idea che la danza non è effimera e che, semmai, le sue tracce vadano cercate dove meno ce lo aspetteremmo, così come le opere del presente seguiranno percorsi a noi ancora ignoti e imprevedibili. Gli artisti coinvolti in questo viaggio in sei tappe, scandite da sei parole chiave, si addentrano ciascuno dalla propria prospettiva in una dimensione in cui le temporalità si mescolano e si confondono: chi racconta storie autobiografiche, chi dà spazio alle emozioni vissute in un momento difficile, chi insegue le interferenze della storia della danza nei gesti quotidiani e negli immaginari del presente. Ciascuna tappa consiste in un’opera in video della durata di circa 30 minuti confezionata a partire da materiali provenienti dagli archivi dei singoli artisti e da sequenze filmate e montate per l’occasione.
Pur essendo costituito da opere distinte e potenzialmente indipendenti, si tratta di un racconto polifonico che è stato presentato dall’Istituto Italiano di Cultura a Mosca in occasione della Settimana del Contemporaneo presso il Museo di Arte Moderna di Mosca (MMOMA) a dicembre 2021.

ALCUNE COREOGRAFIE
con: Jacopo Jenna, Roberto Fassone and Ramona Caia
riprese e montaggio video: Jacopo Jenna
A partire dall’archivio video realizzato per il progetto didattico DÉSIR MIMÉTIQUE, basato sulla teoria di René Girard secondo cui il processo di apprendimento avviene sostanzialmente per imitazione, Jacopo Jenna esplora le modalità di trasmissione e incorporazione della danza. Attraverso la mimesi di una moltitudine di frammenti video trovati frugando tra cinema e internet, e montati in una sequenza serrata, la danzatrice Ramona Caia e l’artista visivo Roberto Fassone ci conducono in un viaggio nella storia della danza in cui l’irruzione dei gesti quotidiani, dei ricordi degli artisti e delle libere associazioni di immagini e immaginari danno forma ad altre temporalità per dare spazio ad altri racconti.
THE YEARS
riprese e montaggio video: Matteo Maffesanti
Nel 2012 Alessandro Sciarroni compone il primo di una serie di lavori coreografici incentrato sui fenomeni popolari sopravvissuti alla contemporaneità. Il lavoro (ad oggi ancora presente nel repertorio della compagnia dell’artista) si intitola FOLK-S ed è basato sui passi di danza di un antico ballo bavarese e tirolese: lo Schuhplattler. Nello spettacolo, Sciarroni compie un’operazione filologica che depura la danza dagli elementi esotici legati all’immaginario in cui la tradizione trova la sua antica origine (le prime fonti scritte risalgono al 1050 d.c.). In FOLK-S , il ballo viene eseguito “a oltranza” fino a quando almeno un performer della compagnia ha l’energia necessaria per continuare a danzare.
L’esperienza si rivelerà negli anni profondamente germinale per la poetica dell’artista. Nel progetto TURNING si concentra su un’unica azione: quella del corpo che ruota intorno al proprio asse. All’interno di questa nuova fase di lavoro collabora con importanti compagnie di balletto come il Balletto dell’opera di Lione e il Balletto di Roma, così come con gli artisti associati della sua compagnia. Un ulteriore affondo sul popolare avviene nel 2019 con un lavoro per due danzatori a partire dai passi di danza di un ballo liscio quasi estinto: la polka chinata.
La trasmissione di queste pratiche, la ricerca costante, la trasformazione e la conservazione della tradizione sono il punto di partenza di THE YEARS. Il film si compone di un’unica traccia sonora sulla quale vengono montate le immagini delle documentazioni degli spettacoli, i momenti di prove e ricerca avvenuti in tutti questi progetti. Nel film, trasportati all’interno di uno stesso flusso, danzatori classici sperimentano il lavoro in punta applicato alle tecniche di rotazione curate dall’artista, ballerini di liscio si avventurano in vorticose variazioni dei passi dei balli di sala, la danza popolare occidentale incontra quella asiatica, in un continuo scambio tra le culture alla ricerca di una comune origine.
DIARY OF A MOVE
basato sui diari di 62 partecipanti al progetto
in collaborazione con: Vittoria Caneva e Ilaria Marcolin
illustrazione: Luca Pierini
musiche: The Sound of Marcello
riprese e montaggio video: Matteo Maffesanti
In collaborazione con il progetto “Dancing Museums the Democracy of Beings” (sostenuto da Creative Europe, sottoprogramma cultura, 2019-2021)
Durante il lockdown di marzo-aprile 2020 a Bassano del Grappa, una sessantina di persone (sia residenti sia straniere) sono state invitate dalla coreografa a registrare quotidianamente in un diario un movimento per costituire un archivio, che è diventato parte del patrimonio culturale della città oltre, che il materiale coreografico da cui partire per raccontare un'esperienza collettiva del tempo. Masako Matsushita traduce i diari in una performance sul filo dei ricordi e delle tracce lasciate dal movimento tra spazio pubblico e spazio privato. Parte delle riprese sono eseguite presso il Museo Civico di Bassano del Grappa, che a novembre 2020 ha ospitato la mostra “Diary of a Move” con i materiali di questo progetto.
BETWEEN THE PAGES
con: Marco D’Agostin e Marta Ciappina
riprese e montaggio video: Matteo Maffesanti
Il danzatore e coreografo Nigel Charnock (morto nel 2012) negli anni ’80 è stato uno dei fondatori della compagnia DV8 Physical Theatre. Con i suoi spettacoli e la serie di assoli,
in cui canta, danza e grido hanno espresso energia, desiderio, volontà sfidando i limiti del genere “danza contemporanea". Charnock sembrato incarnare alla perfezione quella possibilità dell’arte che David Foster Wallace avrebbe forse chiamato “failed entertainement”. Eppure, come disperatamente ripete nel suo solo ONE DIXON ROAD, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”. L’incontro con Nigel nel 2010, ha segnato in modo netto il mio modo di pensare la danza, rappresentando ai miei occhi la possibilità che in scena tutto possa accadere ed esplodere, fino all'esaurimento delle forze. In questi anni l'ho cercato di continuo: nei video, nelle foto, tra le pagine dei suoi diari, nelle memorie di chi lo ha visto sulla scena e di chi lo ha conosciuto. Contrariamente al vecchio adagio secondo il quale la danza è la più effimera tra le arti, la presenza di Nigel sembra avere lasciato tracce nitidissime: un po' come la radiazione cosmica di fondo che ancora rivela l'eco del Big Bang. Con BETWEEN THE PAGES metto il mio corpo alla ricerca di quello di Nigel, della sua danza disperata. Carni arrendevoli ed ossa liquide per farsi attraversare dai suoi movimenti, dalla sua voce. Il ricordo personale, assieme alla memoria collettiva, concedono un'ultima possibilità di riafferrarne l'immagine, di rimaterializzarlo qui e ora. Cosa fare nel luogo lasciato vuoto da qualcuno? Come danzare alla sua ombra, come ri-significare questo vasto e deserto spazio di possibilità?
THE GRACES HERITAGE
creazione e direzione: Silvia Gribaudi and Matteo Maffesanti
con Silvia Gribaudi, Andrea Rampazzo, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Rosaria Vendittelli e il coinvolgimento di comunità locali
riprese e montaggio video: Matteo Maffessanti
Quale eredità lascia un’opera d’arte nel tempo? Come questa ci influenza e come, a nostra volta, possiamo re-interpretarla e tradurla? Queste sono state alcune delle domande principali che hanno spinto Silvia Gribaudi a creare, nel 2018, lo spettacolo GRACES, a partire dalla celeberrima opera di Antonio Canova e provando a far risuonare quella scultura attraverso altri corpi, ribaltando i codici estetici con ironia per ritrovare ciò che dell’opera, e del concetto su cui era stata creata, potesse permanere.
THE GRACES HERITAGE approfondisce questa esplorazione ed estende la ricerca sulla permanenza e sulla metamorfosi dell’eredità dell’arte, per indagare il concetto di bellezza e delle sue infinite possibilità e forme. Mossa dalla convinzione che ogni corpo sia un patrimonio che custodisce e traduce una storia ereditata dal passato e che, attraverso il proprio impatto sociale e politico nel presente, può aprire delle visioni sul futuro.
SULL'ATTIMO
concept and direction: Camilla Monga and Emanuele Maniscalco (drums and piano)
testi: Margherita Monga
riprese e montaggio video: Matteo Maffesanti
SULL'ATTIMO è un progetto di danza e musica che offre un approccio inedito e stimolante alla performance e all’improvvisazione a partire dalla serie di istruzioni contenute nelle Oblique Strategies di Brian Eno (1975) che costituiscono la base drammaturgica per una perlustrazione del tempo, intervallata da brevi dialoghi e discorsi curati da Margherita Monga. Il materiale coreografico e musicale, creato rispettivamente dalla danzatrice Camilla Monga e dal polistrumentista Emanuele Maniscalco, è in parte scritto e in parte improvvisato, e trae spunti dal jazz all’ambient music, dalla musica popolare brasiliana a quella colta del Novecento, da Bach all’art pop. Le idee musicali sono sviluppate dalle azioni di Camilla Monga in un gioco costante di equilibri e ripetizioni per dare forma a un dialogo serrato tra suoni e gesti. La struttura compositiva si fa via via più complessa ma senza concedere nulla alla dimostrazione virtuosistica, semmai per valorizzare il grande potenziale dei limiti che l’esecuzione artistica comporta. Il tempo senza tempo che abita Artesella è dove la memoria di questi suoni e di questi gesti si infila tra le molte variazioni musicali e coreografiche esplorate generando un cambiamento che possiamo percepire solo sull’attimo.